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I fatti di Pramosio secondo Michele Gortani
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Michele Gortani, Presidente del Comitato di Assistenza per la Carnia presentò, nell'immediato dopoguerra, una relazione sui fatti dolorosi occorsi alla Carnia durante l'occupazione tedesca e cosacca. Il testo venne pubblicato con una seconda edizione riveduta in occasione del ventennale della fine della Guerra, testo che è stato poi ripubblicato anche nel 1980. Si ripresentano qui le pagine dedicate ai fatti di Pramosio e Valle del But del luglio 1944 avendo assemblato in un testo unico le aggiunte del 1965 , poste inizialmente come note. Alcune informazioni però non coincidono con la realtà dei fatti,. (Nuove ricerche confermano alcune imprecisioni sui fatti e le date. n.d.r.) All’Acquaviva fra Piano d’Arta e Sutrio, il 15 luglio cade in combattimento il dott. Aulo Magrini, da Luint di Ovaro, nobile figura di patriota. I funerali si svolgono indisturbati perché ormai la Carnia è quasi preclusa ai nazifascisti, ove non siano in formazioni serrate; e riescono di una grandiosità impressionante, con la partecipazione di oltre seimila persone, in mezzo ai cordogli dell’intera vallata di Gorto. I tedeschi, informati appuntino, vanno sulle furie e decidono di passare alla maniera forte. A loro giudizio, da troppo ormai la Carnia, da Tolmezzo in su, è sotto controllo dei ; bisogna, quindi, duramente punirla; e sappiamo che cosa siano le dure punizioni germaniche. Si comincia con il terrore. Nei giorni veramente tragici dal 18 al 22 luglio, sono trucidati a Verzegnis un vecchio, due uomini anziani e un bimbetto di dieci mesi; presso Cabia, in Comune di Arta, i tedeschi fanno precipitare dalle rupi (le Codes), sfracellandoli, tre giovani operai (Blarasin Giovanni di Pietro Valentino, di 29 anni, con il fratello Pietro, di 25 anni, e Candoni Antonio fu Pietro, di 27 anni). Travestiti da partigiani garibaldini, nazisti delle S.S. e fascisti repubblichini girando dalla Carinzia valicano il confine sulle Alpi di Paularo e Paluzza; e nelle casere di Lanza e Cordin il 19, di Promosio il 21 luglio, sterminano 22 persone, tra cui due donne (una di esse in avanzata gravidanza), tre fanciulli sui 12 anni, tre giovinetti, un vecchio settantenne. Alla casera Pramosio le vittime furono tante perché vi erano saliti il proprietario sig. Andrea Brunetti e varie persone recatesi a visitare le loro mucche e a ritirare la loro quota di burro e formaggio. L’eccidio avvenne poco dopo mezzogiorno, quando tutti erano riuniti nella casera per il modesto desinare. Le salme vennero seviziate, depredate e gettate in monte una sull’altra in un angolo della casera. Le autorità germaniche tentarono di giustificare la strage come rappresaglia per la razzia di 24 cavalli pregiati, fatta da partigiani della verso la metà di luglio in un’alpe Carinziana prossima al confine. (Voci revisioniste, hanno attribuito ai partigiani l'eccidio di due giovani pastori in non meglio identificate malghe della valle del Gail e la violenza sessuale su una giovane pastorella presente nella stessa malga. Questa affermazione rappresenta una clamorosa mistificazioni circa le vicende trattate. Da recenti ricerche svolte nella valle del Gail, non esiste alcuna memoria per fatti simili, non ci sono i nomi dei presunti uccisi dai partigiani, mentre ci sono per le guardie di frontiera uccise dopo il 25 luglio 44 durante azioni di guerra.Dalle anagreafi delle località in questione, non risultano morti nei periodi in questione, ne le cronache dalla gendarmeria di tutta la valle del Gail menzionano simili fatti, mentre menzionano il furto di cavalli certamente meno grave di una uccisione. In sostanza i partigiani, in particolare il comandante Max, cioè Enzo Moro, comandante osovano, ha si prelevato in una malga ,non propriamente austriaca, alcuni cavalli pregiati, ma a questo furto non è mai seguito alcun eccidio. Queste presunte testimonianze raccolte in Austria, non hanno ne un nome ne una data, ne una autorizzazione autografa, sono per così dire talmente generiche che chiunque in qualsiasi osteria potrebbe averle espresse, ma nessuno le ha mai verificate, quindi non possono essere che condiderate delle autentiche balle, raccontate da vari personaggi per intorbidire la vicenda e colpevolizzare i partigiani di una strage orrenda perpetrata a danno di civili innocenti n.d.r ). Nel bosco Moscardo, sotto la casera Promosio, altre due donne sono orrendamente seviziate e massacrate dalla medesima banda che, arrivata sulla strada rotabile, uccide a pugnalate due boscaioli reduci dal lavoro. Di poi il grosso si dirige su Cercivento; mentre un piccolo gruppo, sempre le false spoglie di partigiani, sorprende a Paluzza la buona fede di qualche infelice, che presta loro alimenti o servigi, e ne sarà ripagato domani con la tortura e la morte; indi, fatti saltare con esplosivi gli impianti telegrafici e telefonici, si portano a Cercivento, e quivi, dopo aver finto di fraternizzare con alcuni partigiani autentici, improvvisamente, li freddano. Nel pomeriggio del 22 luglio, infatti, un grosso reparto di S.S. tedesche e italiane provenienti da Tolmezzo, circondano Paluzza, dove, unito al gruppo di falsi partigiani, procede di casa in casa al rastrellamento. Per fortuna, il più degli uomini aveva fatto in tempo a fuggire; ma sotto gli occhi dei familiari e delle autorità comunali coraggiosamente rimaste al loro posto (e anche esse malmenate e arrestate), cinque uomini sono ridotti in fin di vita con bastonature, calci, morsi, pugnalate. Paluzza era destinata ad essere incendiata; fu salvata solo per merito delle sue autorità, animate dal Segretario Comunale Virgilio Candido, fervente patriota, e appoggiate da S.E. l’Arcivescovo e dall’ing. Francesco Gnadlinger. Saccheggiati tutti gli spacci di bevande alcooliche, trascinando seco gli arrestati, il reparto ubriaco di sangue e di vino prende la via del ritorno, lungo la quale non soltanto farà nuove retate di presunti partigiani o filopartigiani da mandare a languire in Germania, ma seminerà la strada di altre vittime innocenti. Un operaio resta freddato a Rivo sulla porta di casa sua; più giù, fino a Piano, è una vera caccia all’uomo. Tre uomini sono colpiti a morte appena fuori l’abitato di Sutrio, dove molti vengono arrestati. All’Acquaviva, presso il bivio della strada statale per il ponte di Sutrio, i tedeschi incominciano a fare strage delle loro vittime, e a colpi di pistola ne finiscono nove (compresi quattro infelici di Paluzza già sfigurati e moribondi), gettandone i cadaveri nel greto del fiume. Pare che a questo punto i repubblichini stessi, finalmente inorriditi, si siano opposti alla già deliberata esecuzione sommaria dei rimanenti; ancora tre infelici dovevano trovare la morte più a valle, presso il ponte di Noiariis, e un quarto presso Piano d’Arta. da: Michele Gortani, Il martirio della Carnia, La Panarie, Udine, 1946 (ristampa Stab. Grafico Carnia, Tolmezzo 1980) Vai al video